Bianco scuro.
C’è chi ha grandi sogni, c’è chi ha grandi idee; io ho un gran sonno.
Non sarebbe nulla se non ci fosse di traverso, questa pallida smania che impedisce alle mie palpebre di compiere il loro semplice e semi involontario compito.
Capirai che difficoltà.
Sembra facile, mi riesce tutte le notti, beh quasi.
È un’ombra meno arrogante del solito, quella di questo silenzio che non mi invita a chiudere gli occhi. Quando il buio scende dagli infissi a riverniciare i contorni del giorno, sembra che i suoni si zittiscano in segno di rispetto.
Ogni tanto qualche tonfo ribelle, fa ondeggiare le tende del silenzio con i suoi aliti di goffaggine, lasciando intravedere le luminose crepe della realtà che si nasconde dietro il buio. In quegli istanti di indecisa allerta, le sagome del giorno si rigirano nei loro recessi. Anche le ombre hanno bisogno di riposo, per questo quando il giorno volge al termine, cominciano a coricarsi. Si stiracchiano fino a svanire sotto le coperte della notte.
La notte però non riesce a essere sempre sincera. Ci sono delle notti dove il buio è meno convinto del solito. Quelle notti, non ti accompagnano per mano a immergerti nella caliginosa e densa bruma del torpore, ma si limitano a lasciarti lì; in attesa che si sveli il trucco dagli occhi.
E intanto che aspetti, impaziente, che qualcosa ti sollevi dal tuo peso, non puoi fare altro che ricordare a te stesso, che l’indomani ritroverai tutto quello che hai lasciato in sospeso.
La notte infatti altro non è che questo: sospensione.
Un istante di poche ore che inganna il tempo meglio di qualsiasi sollazzo.
Una pausa fra l’analisi di ciò che è stato e la speranza per ciò che sarà. Qualche volta speri che tutto possa andare per il meglio, qualche altra ti accorgi di averlo appena vissuto quel meglio.
Solitamente il finale di questo piccolo, istantaneo ragionamento, coincide con lo schiaffo sgarbato del giorno che irrompe a scuotere gli ultimi batuffoli di notte dalle lenzuola calde.
Il paradosso del risveglio, che con il suo calore ti porta nel freddo di un mattino appena nato, partorito nel calore della gelida notte appena trascorsa.
I rumori che tanto timidamente si erano nascosti sotto il cuscino, si riaffacciano impertinenti a ricordarti che non sei solo. Nemmeno quando lo vorresti.
La solitudine non è uno stato sociale, non è una sconfitta di cui vergognarsi, non è l’unica compagna di una notte insonne, né la guardiana delle responsabilità che tanto ti pesano: la solitudine è madre della calma e compagna del silenzio, figlia del riposo e lontana parente della noia.
Solo quando ti accorgi di non temere il buio di una notte che non ti fa compagnia, capisci che la solitudine non ha bisogno di essere capita, né tanto meno temuta.
La solitudine va trafitta come la notte.
Basta prendere una rincorsa lunga come la tratta del carro di Apollo, e spiccare un lungo salto a occhi chiusi attraverso i pensieri che ultimamente hai trascurato un po’.
Capirai. A nessuno piace essere trascurato.
Quando il sonno non arriva, spesso è per darti modo di ricordarti cosa stai dimenticando.
Buona notte cara amica solitudine.
Ci vediamo domani.
Se non trafiggo solitudine e notte, va bene lo stesso?
Vivere le ore piccole da sveglia nel silenzio e solitudine è quel “tempo tutto e solo mio” che altrimenti non avrei.
^_^
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Sì, va benissimo…è un filino meno epico, ma certamente più pratico! Le ore piccole sono fantastiche…stanno anche in tasca a volte! 🙂
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“la solitudine è madre della calma e compagna del silenzio, figlia del riposo e lontana parente della noia”: descrizione molto bella, anche se non sempre risulta facile vedere la solitudine sotto questo punto di vista. 🙂 Sto girando qua e là per vari blog ultimamente ed è buffo vedere come uno sfogo/riflessione sulla notte insonne si tramuti cosi spesso in piccole creazioni letterarie.
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