Tempo fa mi trovai ad affrontare un “colloquio”, fra virgolette perché non fu un vero colloquio e nemmeno per un vero lavoro. La capo redattrice di una società che crea racconti su commissione, mi sottopose un test per saggiare la mie doti creative, consegnandomi 3 immagini e chiedendomi di usarle a ispirazione per un racconto originale, da consegnarle entro il giorno seguente.
Mi è tornato in mente a distanza di più di un anno, perché ricordo di essermi davvero divertito a scrivere quel racconto, così ho pensato che magari potesse diventare un gioco interessante da riproporre!
Chiunque volesse giocare, basta che mi scriva e io gli assegnerò tre immagini in cambio di una paginetta di racconto da condividere…e magari di altre 3 immagini per me… interessa a qualcuno?!
Queste le immagini che mi furono assegnate…
E qui di seguito il racconto che ne è nato…così giusto per rompere il ghiaccio!
P.S. Per onore di cronaca, il “colloquio” andò bene anche se non ci fu occasione di collaborare attivamente…mi resta comunque un’oretta di stimolante ludibrio e un racconto da lasciare a chi vuole leggerlo!
BATTERE E LEVARE
Battere e levare, solo battere e levare a profusione.
Un’infinita successione di sordi rintocchi delle dita sul legno del tavolo, seguiti da sommesse vocali tremolanti a scandire il tempo della stessa maledetta strofa.
Dov’era finita la magia della musica?!
Continuava a studiare da giorni ma più si soffermava a trovare il senso di quello che stava cantando, più le note le sfuggivano e prendevano la forma di anonimi grappoli d’uva appesi a filari troppo alti per poter essere colti.
Il pensiero che il problema potesse essere proprio nell’aria che stava studiando le sfiorò la mente, ma immediatamente si sentì trasformata nella famosa volpe alle prese col medesimo frutto.
“Non ce la posso fare!”, continuava a ripetersi con la stessa insistenza con cui cercava di dimostrare il contrario.
Stampata nella memoria portava l’immagine dell’insegnante di canto che, senza troppo curarsi della presenza di altre persone nella stanza, inveiva contro di lei facendole notare un clamoroso ritardo, a suo dire, rispetto al resto della classe.
Quella donna era in grado di non perdere le impostazioni tecniche di emissione vocale, anche in momenti di piena rabbia. Forse per questo le sembrava tanto ridicola quando urlava.
Jo aveva deciso di intraprendere la carriera di cantante lirica per seguire le orme della madre, ma in quel momento pensava che se avesse potuto vederla sarebbe stata molto delusa di lei.
Aveva bisogno di una pausa e, in barba a tutte le raccomandazioni al riguardo, decise di versarsi un bicchiere di vino.
La luce del tardo pomeriggio iniziava ad allungare l’ombra del pianoforte, sfigurandolo in una sorta di lama minacciosa.
“La mia spada di Damocle!”, sussurrava scoraggiata.
Aprendo la finestra poteva scorgere i cortili del conservatorio, la vicinanza in linea d’aria con le aule le offriva una meravigliosa cacofonia di strumenti uniti in un’orchestra improbabile, distorta dai rumori della strada sottostante.
Un sorso di vino. Era ancora bevibile nonostante fosse rimasto aperto dal pranzo di alcune ore prima.
Le piaceva chiudere gli occhi e sporgersi dalla finestra, per accogliere col viso la fresca brezza che veniva concessa dall’aria incanalata fra i palazzi.
Non poteva certo immaginare che in quel preciso istante una gazza, in vagabondaggio sopra i tetti della città, fosse stata attratta dal luccichio del bicchiere che teneva in mano.
Un frullo d’ali, un grido e un sordo rumore di vetro infranto, si aggiunsero così alla già ricca sinfonia urbana.
La vista del vino a terra, in perfetto contrasto con le mattonelle chiare, sembrava formare una lunga ferita aperta, ma lo sconforto iniziale lasciò immediatamente spazio allo stupore.
Nelle orecchie di Jo riecheggiava ancora il grido di terrore per l’attacco della gazza, peraltro già volata via. Un suono acuto, pulito, perfetto!
Non aveva mai raggiunto una nota tanto acuta così comodamente.
Fece in modo di fermare nella mente quel preciso istante. Teneva gli occhi chiusi e i pugni serrati come per imbrigliare saldamente ogni minimo particolare.
Un ultimo sguardo alla pozza di vino ai suoi piedi e senza nemmeno rendersene conto era già in grado di riprodurre lo stesso suono!
Sorrideva con la soddisfazione di chi è riuscito a svelare l’enigma della Sfinge.
Riprendendo tra le mani gli spartiti tutto sembrava più facile!
Quei grappoli d’uva appesi a filari irraggiungibili, ora erano perfettamente a portata di mano.
Ora era lei a guardare dall’alto verso il basso quelle note. Quei puntini irraggiungibili le volavano ora sotto i piedi nudi, bassi ed insignificanti come insetti a pelo d’acqua. Si sentiva leggera come se si stesse librando in aria sorretta dai fili della felicità e spinta dal vento dell’entusiasmo.
Un ultimo sguardo al cielo dalla finestra spalancata. Sorrideva.
“Grazie mamma!”